Leonarda Zappulla – Critica all’opera “Il guardiano di Venere”

Luca Ripamonti dipinge attuando una ricerca estetica in grado di far dialogare il visibile con l’invisibile, il dato tangibile con la sfera emozionale. Giunge a tale assunto formandosi nel panorama vivace di Santa Maria Maggiore, in quella conosciuta al tempo come “la valle dei pittori”, tra i cavalletti e i pennelli del nonno e lo zio, i libri che ha studiato di Burne Hogarth, i corsi di disegno e di anatomia, le conversazioni e gli scambi di idee con gli artisti locali e soprattutto col suo maestro, Ugo Bernetti Da Vila, che tra gli altri lo ispirerà, nonostante il diploma da geometra, a continuare il suo percorso di vita all’insegna dell’arte.

Il suo colto linguaggio denota una distintiva cifra stilistica che assume un valore iconico attraverso la sapiente fusione tra immanenza e trascendenza, una magistrale giustapposizione tra figurazione realistica e ambientazione fittizia.

Le basi del suo universo figurale hanno radici ben solide che affondano nella pratica della copia d’autore e nell’apprendistato in bottega, proprio come avveniva tra gli artisti d’altri tempi. L’innata propensione all’orchestrazione delle tinte cromatiche indagate in molteplici sfaccettature si rivela tanto negli scenari paesaggistici quanto nei drappeggi o nell’incarnato dei soggetti delle sue tele. Con colori densi e un segno morbido l’artista concentra le proprie abilità nell’incantare il fruitore sulle figure che abitano i suoi quadri, mentre lo sfondo resta volontariamente indeterminato, solo accennato, come nell’opera “Nudo”.

La luce, elemento di spicco della sua dialettica, avvolge i corpi e fa emergere i volumi grazie ad un metodo esecutivo di rara efficacia nel quale il plasticismo è allo stesso tempo vigoroso e vibrante. Con padronanza della tecnica e segno preciso e pulito, Luca Ripamonti lascia che la propria ispirazione si manifesti nell’opera “Il guardiano di Venere”, in cui il grande equilibrio tra oscurità e chiarore, dato dal raggio brillante che irradia la pelle rosea della protagonista facendola affiorare dal fondo scuro, mette in scena uno splendido brano di sublimazione del corpo in un’impalpabile atmosfera onirica.

Le sue donne, immortalate in pose statuarie e così peculiarmente illuminate, rievocano gli effetti ricercati da Tamara de Lempicka nelle sue volumetriche e geometrizzate protagoniste.